Prendete una città come Ferrara, che con la sua nebbia diventa uno scenario perfettamente calzante per una nuova serie gialla. E poi prendete la protagonista, una donna d’animo ribelle, a tratti aggressivo, ma che in realtà nasconde diverse fragilità che la rendono semplicemente più umana di quanto vorrebbe. E aggiungetevi il nome di Cinzia Bomoll, che ha alle spalle anni di gavetta editoriale. Questo, però, è il suo primo romanzo giallo. Si intitola La ragazza che non c’era e mi auguro che sarà soltanto il primo di una lunga serie.
La ragazza che non c’era: la trama
Essendo un giallo, la protagonista è un ispettore di polizia. Il suo nome è Nives Bonora, vive a Ferrara e ha una relazione segreta con il suo capo. Se la storia sembra partire già con il piede sbagliato, vi ricrederete quando vi dirò che Nives è impulsiva, schietta, talvolta aggressiva e con modi bruschi, evasivi. Talmente evasivi da incrinare ogni rapporto umano. La relazione con Brandi, il suo capo, non è mai stata vissuta alla luce del sole. Con suo padre non ha mai istaurato un legame e l’unica donna della sua vita che le voglia bene è nonna Argenta.

Un nuovo caso cattura il suo interesse: una ragazza bellissima trovata apparentemente morta in un ospedale psichiatrico abbandonato. Poco dopo, si scoprirà che quella ragazza in realtà non è morta, ma qualcuno avrebbe voluto che fosse così. E Nives, indagando, scoprirà che la storia di quella ragazza è collegata a tante altre persone e a segreti devastanti.
Recensione: perché leggerlo
Ammetto di essere piuttosto arrugginita con i gialli, non ne leggo da tempo e probabilmente non ne ho mai letto abbastanza per poter dare un parere pertinente. Ma la lettura è anche estremamente soggettiva e questa recensione non è da meno. Per chi, come me, non è abituato ad immergersi con costanza nel ritmo di un giallo, La ragazza che non c’era potrebbe essere utile alla causa. Con una guida narrativa estremamente visiva – del resto la Bomoll è anche sceneggiatrice e regista – si ha l’impressione di essere catapultati nella stessa scena di Nives, di guardare con i suoi occhi e di avvertire ciò che pensa (nonostante sia narrato in terza persona).

Quello che colpisce di questo romanzo è la fragilità con cui Nives affronta gli ostacoli: la relazione traballante con il padre, l’amore smisurato per sua nonna che la porta spesso ad interrogarsi sulla sua bontà d’animo. E ancora quel senso di abbandono, dovuto ad un passato famigliare difficile e che torna prepotente a tormentarla. E una storia d’amore fatta di segreti, muri, silenzi, che feriscono più di un colpo di pistola. La consiglio a chi non disdegna un po’ d’azione, condita di umanità ed indagini della polizia. Come ogni giallo, ogni nodo torna al pettine. Quel che resta in sospeso è soltanto il caos interiore della protagonista, che usa come posto sicuro un taccuino di poesie. Mi piacciono le avventure di Nives e spero che Ponte alle Grazie continuerà la serie. E, a dirla tutta, già la vedo in TV a tener testa al Commissario Montalbano ed Imma Tataranni.
